Thursday, June 07, 2007

From castrum to cluster


The following is a transcript of a talk I did at LAb0 (Laboratory for Architecture and Politics) on 10 May. The panel was entitled 'Mutations of the University' and the other participants were Gigi Roggero and David Fanfani. Video and audio are available on the LAb0 site. The talk took place in the former abattoir (pictured above) in the Roman quartiere of Testaccio. It was strangely wonderful to speak in a long room still contataining the machinery and hooks from which the carcases once hung. Although somewhat unsurprisingly the site now houses an architecture school and a museum of contemporary art (MACRO).
Gli edifici che costituiscono il campus dove insegno in Australia, sono uno un ex carcere minorile, l’altro un ex orfanotrofio femminile; da una specie di castrum in cui erano imprigionati ragazzi, ora nelle stesse strutture ragazzi più o meno della stessa età ricevono formazione. Rispetto alle tendenze della New York University, dove possiamo leggere la tendenza di una università nel suo divenire metropoli, a Sidney l’università occupa posti decentralizzati dal centro della città: è la cosiddetta università dell’autostrada con gli edifici universitari costituiti da immensi parcheggi; un ex carcere ed un ex orfanotrofio circondati da immensi parcheggi.
Quando parliamo del passaggio dal castrum a cluster, facciamo un passaggio da una parola latina ad una di lingua inglese, parola che ho cominciato a sentire usare in modo massiccio dalla metà degli anni novanta. La nascita di questa parola la possiamo collocare nell’Inghilterra dei creative cluster, delle iniziative a livello urbanistico di creazione di cluster, di cui parla anche Richard Florida, che consistono in pratiche di rinnovo dei quartieri della città. Ci sono studi molto interessanti su questo fenomeno, che implica spostamenti di persone, abitanti storici della zona.
È quello che possiamo chiamare gentrification, tema centrale nella geografia urbana degli anni 80. Anche in una città come Pechino oggi lo si vede bene: una metropoli cha ha la tendenza verso il rafforzamento delle industrie creative in cui si vedono interi quartieri, dove sono cresciute iniziative autonome di studenti e artisti, che oggi sono catturati e sviluppati dallo stesso governo per creare un incubatore delle creative cluster a cui si accompagna lo spostamento della popolazione storica in altre zone.
La parola cluster è emersa negli anni novanta all’interno delle università con l’obbiettivo di costruire cluster di ricerca dentro l’università, ovvero gruppi di ricerca interdisciplinari con docenti e studenti da vari dipartimenti. Questa tendenza è corollario della introduzione della misura del lavoro cognitivo e del bisogno per l’università di scegliere zone di specializzazione per trovare nicchie dove vendere brand di ricerca, fatta dentro l’università, nel mercato globale.
Questo processo di clusterizzazione è correlato ad un processo di gerarchizzazione fra ricerca ed insegnamento. Con l’emergere di un cluster infatti l’università concentra lo sforzo di ricerca in una certa parte dell’università che diventa una sorta di elite mentre il resto della facoltà diventa una specie di fabbrica dell’insegnamento. Con i cluster della ricerca emerge la gerarchizzazione dell’università fra quelli che fanno ricerca, pochi e stabili, e quelli che fanno l’insegnamento.
Ma ci sono altri usi della parola cluster soprattutto nei discorsi militari: ad esempio cluster bomb, le bombe a grappolo, tecnica militare usate tanto in Iraq quanto in Afghanistan. Il movimento dal castrum, termine militare romano, al cluster, non significa una specie di movimento soft delle pratiche: tutte e due sono infatti termini militari, e su questo aspetto vorrei soffermarmi.
Un aspetto importante nella trasformazione che possiamo osservare oggi non è solo tendenza verso la progressiva flessibilizzazione dei processi produttivi poiché anche la militarizzazione rientra nel contesto produttivo universitario.
Nella lista di edu-factory Brian Holmes, americano che vive a Parigi, ha scritto un saggio sul famoso triangolo della ricerca del North Carolina. Anche il collettivo countercartographies.org ha disegnato una sorta di creative cluster composto da tre università: Duke University, University of North Carolina e University of the State North Carolina. Si tratta di un ambiente dove ci sono molte software house impegnate nella industria bellica. Inoltre vi è un sistema di contratti dove la stessa università contribuisce nell’avanzamento delle tecnologie belliche. Siamo di fronte a processi di capitalizzazione, flessibilizzazione e contemporaneamente di militarizzazione. Queste tre tendenze devono essere tenute tutte e tre contemporaneamente assieme, in quanto reciprocamente implicate tra loro.
Le università americane sono rette di fatto oggi da sistemi fiscali di sussidiarietà: questo vuol dire che i ricavi di un settore interno dell’università può essere ridistribuita internamente per finanziare altri settori di prestigio, come filosofia o letteratura che non riescono ad operare in un sistema di mercato e generare guadagni o fare profitto.
Tale sistema di sussidiarietà funziona a livello globale con i profitti guadagnati all’estero che vengono a loro volta usati per finanziare parte dell’università a livello locale: questo è uno dei motivi, tra gli altri, per cui i campus sono aperti offshore.
Proprio per questo è stato introdotto un sistema di sussidiarietà a livello globale, come possiamo vedere con l’università di Harvard quando stabilisce sedi proprie in India o in Cina (L’università di Nottingam ha fatto un proprio campus in Cina, che è una replica esatta del campus inglese: un clone che ne rispecchia anche la posizione fisica degli edifici; una specie di disneland che è al tempo stesso uno sviluppo serio per sfruttare tutte le opportunità del mercato della formazione in Cina).
In questo meccanismo di sussidiarietà anche lo studente che fa il lavoro critico è direttamente coinvolto nella tendenza di militarizzazione delle università.
Si tratta non solo di chi fa ricerca balistica o biologia, poiché questa logica è investita da una tendenza più generale della ricerca dentro l’università attraverso la logica della sicurezza e così via. Penso del campo della sanità pubblica: il modo più efficace di ottenere finanziamenti per la ricerca nel campo generale della sanità pubblica è quello della sicurezza, della bioguerra per tirare fondi e fare ricerca. Se tu hai voglia di fare ricerca nel campo della sanità, vieni allora direttamente coinvolto nella sua militarizzazione.
In Australia abbiamo avuto modo di discutere in gruppi politici radicali il caso del gruppo Australian Research Council che ha finanziato varie reti di eccellenza tra cui una che si chiama Secure Australia (si tratta del Research Network for a Secure Australia); in questa rete si trova tanta gente disponibile a fare ricerca sulla biometria e nuove tecnologie di controllo dei confini, per reagire ad un attacco biologico. Questo per prendere i fondi dal governo per assicurarsi così un percorso, una carriera nella stessa università. In un’università dove tutti i ricercatori sono precari e sono sempre alla ricerca della prossima borsa di studio, quest’ultima ti viene concessa solo quando fai ricerca in questi campi.
Abbiamo avuto, con il mio gruppo, la proposta di dirigere questa rete di eccellenza e abbiamo suggerito di contestare questi sbocchi dei finanziamenti ma, come strategia politica, è stata davvero poco seguita poiché solo pochi vogliono rischiare di perdere la chance di ricevere fondi di ricerca dal governo, seppure poi fanno ricerca in un altro campo. Per la maggioranza dei ricercatori precari non vale la pena contestare la network Secure Australia perché ciò metterebbe a rischio la possibilità stessa di ricevere fondi per altri progetti in altri campi.
Le strategie e le tecnologie su cui si fanno ricerca nei progetti della network Secure Australia funzionano in modo completamente diverso dal classico modello del Panopticon: si tratta più che altro di una sorta di embedded software che stanno sviluppando, in cui chi è controllato da questo software non è necessario che realizzi di essere controllato, mentre nel modello del Panopticon il soggetto sa di essere sorvegliato. Il sistema di video-sorveglianza funziona in modo tale che il crimine sa che non può fare una illegalità nel centro della piazza ma che deve andare dietro l’angolo, per esempio. Nei sistemi di controllo contemporaneo i funzionamenti sono cambiati. Ti faccio un esempio.
Quando tu vai sul sito amazon.com per finire il saggio per il tuo corso che devi tenere il giorno dopo e devi fare la bibliografia dei libri e utilizzi quindi il sito non per comprare, amazon.com ha un sistema software che riesce a riconoscere il tuo indirizzo ip e capisce se tu sei quello che compra o che usa il sito per non comprare ma per fare solo la bibliografia. Così se non compri il tuo accesso alla informazione del sito sarà più lento rispetto a quello che compra. Ma quando vai sul sito non sei informato di questo funzionamento: non te ne accorgi di essere controllato, non ti accorgi che il tuo accesso è più lento di quello che usa la sua carta di credito.
Un altro esempio. Da casa mia per l’università in macchina ci vogliono 50 minuti. In macchina devi fare delle autostrade con il sistema viacard, dove ti puoi muovere con un clic, con un cip che contiene anche i dettagli della tua carta di credito e del tuo conto bancario.
Ma per fare un tratto del percorso c’è un tratto di autostrada a cui non hai accesso senza questo apparecchio in macchina. Non lo puoi fare se non hai una carta di credito, con tutte le informazioni che hai nella carta: se paghi il mutuo della casa, i tuoi debiti da pagare, tutti questi dati legati al numero della tua carta di credito legati e accessibili nel passaggio di accesso dell’autostrada.
Un sistema di controllare dunque che accumula saperi di chi usa l’autostrada, per sapere inoltre quanto essa è trafficata e regolarne l’accesso, dove il flusso di traffico è controllato con un sistema di cui il soggetto controllato non sa di esserlo.
Come si gestisce una lotta in questo sistema? Mi ricordo quel famoso libro di Michel de Certeau, tradotto in inglese The Pratice of Everyday Life, in cui tale autore mostra la distinzione e il contrasto fra quello che dal grattacielo guarda la città con l’occhio di uccello e quello che attraversa la città e la gusta nella vita quotidiana: due diverse prospettive dove l’una è il punto di vista della politica della strategia e l’altro il punto di vista della tattica.
Ma oggi non c’è più questa separazione tra strategia o tattica, questa distinzione politica fra cosa è strategia e cosa è tattica: credo che oggi ci muoviamo verso una situazione dove questa distinzione viene decostruita, e dobbiamo ripensare allora a come fare pratica politica quando non è più richiesto che tu sia informato del completo sistema di controllo a cui sei di fatto sottomesso.
Quello detto fino ad ora entra nel contesto della guerra, di una guerra attuale dove non vi è più molta distinzione tra la polizia e l’apparato militare, una guerra fatta non più fra Stati ma attraverso una privatizzazione fatta di mercenari: questo è il modo in cui la guerra si dispiega nelle metropoli. Sappiamo infatti che la guerra urbana in Iraq è una guerra difficile, e che le tecniche che la sviluppano nascono dai tecnici non militari, ma della polizia di Los Angeles che sviluppa i sistemi basandosi direttamente sugli scontri metropolitani. Questi saperi di guerra possono essere allora connessi anche ai tentativi di sgomberare un centro sociale.
È una situazione in cui diventa difficile esprimere i conflitti in cui tu sei coinvolto. Cosa fare?
Ned Rossiter fa una distinzione fra organizzazione reticolare e rete organizzata. Una organizzazione reticolare è per esempio l’università nel suo farsi rete nel tessuto urbano.
Rete organizzata sarebbe un’altra specie di organizzazione, potrebbe essere una nova forma di istituzione, una nuova forma istituzionale che agisce conflittualmente; il problema allora è come espandere un tale progetto. Qui si entra in un territorio difficile. Nel mondo in cui viviamo occorrono fondi per organizzarsi. E quando tocchiamo questo livello entriamo, nel mondo universitario, nel dilemma del ricercatore che ho accennato che prende i fondo di sicurezza ad esempio dell’Australia per la propria borsa di studio.

Dove si prendono i fondi? Una possibilità che abbiamo esplorato in Australia con un gruppo di ricercatori è stato l’esperimento di costruire una rete organizzata fuori dall’università per progettare corsi di autoformazione e vendere successivamente questi stessi corsi all’università che cerca materiali già sviluppati per finanziare le proprie ricerche. Ma questo è solo un esperimento, un territorio molto complesso, poiché non c’è più un fuori e si arriva ad un punto dove l’autoformazione entra nella nicchia del mercato. Ma ciò rimanda al problema che dobbiamo porci: come costruire rete organizzata contro le organizzazioni reticolari, oggi.